
A giudicare dall’evoluzione di un mercato sempre più digital oriented, sembrerebbe arrivato il definitivo tramonto per gli accordi di bancassurance. Ma sarà proprio così? Difficile dare risposte certe. Di sicuro è finita la corsa forsennata esplosa nel 2008 quando, nel primo periodo della lunga crisi finanziaria, gli istituti di credito hanno trovato proprio nelle intese con gli assicuratori la loro ancora di salvezza, lo strumento indispensabile a sopravvivere.
Tuttavia, sappiamo bene che la sola bancassurance non è una medicina sufficiente a guarire da certi mali congeniti o dal mettere al riparo da tonfi clamorosi, così come dimostrano i crolli di ING, Credit Suisse e Royal Bank of Scotland che hanno fatto dubitare sull’odierna efficacia degli accordi fra banche e assicurazioni. Ma allora è davvero finita l’epoca del bancassurance?
Difficile dirlo, perchè allargando lo sguardo verso mercati extra europei sembrerebbe il contrario. Infatti, negli ultimi anni c’è stata una vera e propria ondata di accordi di bancassurance nelle economie emergenti come l’Asia. Ad esempio, solamente un paio di mesi fa, a dicembre, Bajaj Allianz General Insurance ha stretto un accordo che le permetterà di vendere le proprie polizze in India attraverso gli sportelli di Canara Bank, uno dei più importanti istituti di credito indiani di proprietà statale.
Inoltre, la stessa Allianz sta battagliando con Axa per chiudere un accordo distributivo con le branch asiatiche di Standard Chartered.
Insomma, prendendo a riferimento i mercati emergenti sembra chiaro che la bancassurance goda di ottima salute, visto che parliamo di paesi dove le banche sono da tempo radicate sul territorio, hanno la fiducia dei consumatori e fanno pertanto gola agli assicuratori.
Ma per quanto riguarda invece i mercato più maturi come l’Europa?
Nel vecchio continente dove tutto sembrava ormai assopirsi, ecco esplodere poche settimane fa la vicenda Generali, finita nel mirino di Intesa Sanpaolo, scesa in campo a difendere l’italianità della compagnia del Leone. Una manovra da oltre 60 miliardi di euro per un matrimonio tra la prima compagnia italiana e il primo istituto di credito del Paese per capitalizzazione che darebbe vita a un gigante europeo con attività finanziarie da quasi 1.200 miliardi di euro.
L’operazione non è semplice, alla luce della complessità dal punto di vista industriale e regolamentare, mentre sullo sfondo i colossi europei delle polizze, Allianz e Axa restano alla finestra in attesa di vedere la piega che prenderà una vicenda che non sembra incassare la benedizione degli analisti.
Se Jp Morgan stima che i risparmi di costi sarebbero di 372 milioni di euro all’anno, interamente realizzati in Italia, Morgan Stanley sostiene che l’eventuale unione potrebbe mettere a rischio il dividendo di Intesa: “Ogni grande fusione avrebbe dei significativi rischi di esecuzione, a nostro modo di vedere, riducendo probabilmente la visibilità sul tasso di pagamento e quindi possibilmente conducendo a un de-rating”. Infine, Banca Akros afferma che “se lo scopo di Intesa è quello di difendere un asset italiano, crediamo ancora che la via più semplice possa essere l’acquisizione del controllo in Mediobanca, provando a creare in seguito un patto di sindacato su più del 20% del capitale di Generali”.
Tirando le somme, la bancassurance sembrerebbe ancora uno strumento in grado di garantire al modello bancario di rimanere centrale per le esigenze finanziarie dei consumatori. Ecco allora che se gli istituti di credito riusciranno a non perdere questa centralità, per il bancassurance potrà esserci un futuro anche in Europa.