L’uscita del Regno Unito dall’UE è un evento di enorme importanza politica. Allo stesso tempo però anche la portata economica del voto sarà notevole, essendo l’UK la seconda potenza industriale a livello comunitario.
Stando alle prime analisi, i principali rischi e benefici che si prospettano per il prossimo futuro sono i seguenti:
Budget/Equilibrio Economico
Uno dei problemi più rilevanti legati alla Brexit è la necessità di far fronte alla perdita di un importante contribuente alle casse dell’Unione. Secondo le previsioni infatti, il Regno Unito avrebbe dovuto pagare nel 2016 circa 19,4 miliardi di euro sotto forma di tasse e contributi, mentre avrebbe ricevuto circa 7 miliardi di fondi e sussidi. L’abbandono dell’Unione lascerà quindi un buco pari al 5% del bilancio totale, che dovrà essere riempito dagli altri paesi rimanenti. La Germania in particolare dovrà farsi carico della quota maggiore di questo deficit: l’Ifo Institute ha stimato che solo a lei toccherà sborsare 2,5 miliardi di euro.
Commercio
Per quanto riguarda i rapporti commerciali con gli altri stati dell’Unione, il Regno Unito effettua ogni anno importazioni di beni superiori di 100 miliardi di euro rispetto alle esportazioni. La bilancia si capovolge invece se si considerano i servizi (anche quelli finanziari), in cui le esportazioni superano le importazioni di 20 miliardi.
Molti economisti prevedono in seguito alla Brexit una riduzione temporanea del PIL, una diffusa incertezza nella domanda domestica e un indebolimento della sterlina. Si prospetta in sostanza uno shock della domanda interna, collegato a una possibile reintroduzione di tariffe sulle importazioni, che danneggerebbero a catena anche il PIL anche degli altri paesi partner. Tuttavia il servizio più esportato nel Regno Unito - il turismo - non sembra destinato a subire danni.
Investimenti
Il Regno Unito è - secondo le stime dell’United Nations Conference on Trade and Development - il primo destinatario di investimenti tra i paesi dell’Unione Europea, con una media di 56 miliardi di dollari all’anno nel periodo 2010-2014.
I partner europei ammontano a poco meno della metà e secondo uno studio di Ernst & Young l’accesso al mercato comunitario è importante, dal punto di vista finanziario, tanto quanto l’Investimento Diretto all’Estero (IDE). Esiste però il rischio concreto che questa ultima modalità venga dirottata su altri paesi UE ora che l’UK perderà l’accesso al mercato unico europeo.
Migrazioni
Una delle argomentazioni più forti usate dai promotori dell’uscita dall’UE era la necessità di arginare la migrazione di cittadini comunitari verso il Regno Unito, sebbene altri paesi al di fuori dell’Unione – come la Svizzera e la Norvegia – abbiano dovuto accettare accordi di libertà di movimento in cambio dell’accesso al mercato comunitario.
Se comunque Londra riuscisse a bloccare i flussi migratori interni, ciò avrebbe un impatto fortemente negativo su molti paesi dell’Est Europa, che a fine 2015 registravano la presenza di 1,2 milioni di loro cittadini in UK. In particolare ai primi posti troviamo la Polonia (con 853.000 lavoratori emigrati oltremanica), la Romania (175.000) e la Lituania (155.000). Per contro gli altri paesi che trainano l’economia UE – come la Germania - vedrebbero un aumento dei flussi migratori interni verso i loro mercati.
Paesi più colpiti
L’impatto della Brexit non sarà il medesimo per tutti i restanti 27 paesi. L’Irlanda sarà quella che accuserà maggiormente il colpo, a causa della forte dipendenza dal Regno Unito. Subito dopo l’impatto più dannoso sarà quello per la Svezia e il Benelux (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo), con le Fiandre che stimano una perdita di 2,5 punti percentuali di PIL.
Le conseguenze per la Germania invece saranno molto più “soft”, dal momento che le sue industrie di punta - manifatturiera e automobilistica - si rivolgono prevalentemente ad altri mercati.