
Durante un’audizione alla Camera, il presidente di Ania, Giovanni Liverani, non ha usato giri di parole: l’Italia sta entrando in un vero e proprio “inverno demografico”. Un’espressione forte, certo, ma purtroppo molto vicina alla realtà. I numeri, a guardarli bene, fanno anche un po’ impressione.
Oggi quasi un quarto della popolazione italiana ha più di 65 anni. Per la precisione il 24,3%. È una cifra che ci piazza al secondo posto nel mondo, subito dopo il Giappone. E non è finita qui: se le previsioni saranno confermate, nel 2050 gli over 65 supereranno il 34%. Nel frattempo, le nascite continuano a diminuire e nel giro di dieci anni potremmo perdere circa 4,4 milioni di persone nella fascia d’età lavorativa. In pratica, sempre più anziani e sempre meno lavoratori: il rapporto di dipendenza, oggi al 39%, potrebbe volare oltre il 60% entro il 2060.
Capite bene che questo trend mette pressione ovunque: sulla sostenibilità del welfare, sulle pensioni, sulla sanità, persino sull’equilibrio sociale del Paese. Già oggi la spesa pubblica per pensioni e servizi sociosanitari è enorme, e potrebbe arrivare a rappresentare un quarto del PIL. E anche l’assistenza di lungo termine – quella legata alla non autosufficienza – rischia di diventare un macigno sempre più pesante.
Liverani ha descritto tre fragilità che si intrecciano tra loro: quella finanziaria, quella sanitaria e quella sociale. Sul fronte economico, ha spiegato che le pensioni rischiano semplicemente di non bastare: i tassi di sostituzione scenderanno sotto il 60% per i lavoratori dipendenti e addirittura sotto il 50% per gli autonomi. Sul piano sanitario, l’invecchiamento porta con sé un’esplosione della domanda di cure, soprattutto per la perdita di autosufficienza. La spesa privata supera già i 30 miliardi, e le liste d’attesa così lunghe costringono milioni di persone a rinunciare a visite e trattamenti. Sul versante sociale, invece, il tema è la solitudine: famiglie più piccole, meno figli, meno possibilità di assistenza “in casa”, più anziani lasciati a cavarsela da soli.
Per questo il presidente di Ania ha lanciato un appello piuttosto deciso: bisogna attivare subito tutti gli strumenti per rendere il nostro welfare più robusto, affiancando quello pubblico con un sistema privato integrativo capace di reggere l’urto. Le strade indicate sono tre: più previdenza complementare, più coperture assicurative contro la non autosufficienza e un sistema sanitario rafforzato da un secondo e terzo pilastro.
Eppure, nonostante il settore assicurativo abbia già prodotti, competenze e risorse — parliamo di oltre 1.000 miliardi di investimenti di lungo termine — la partecipazione degli italiani resta bassa: solo il 38% dei lavoratori ha un piano previdenziale integrativo. E il montante medio, circa 24.000 euro, non è certo sufficiente per affrontare serenamente il futuro. Da qui l’idea di misure più forti: iscrizione automatica ai fondi per i neoassunti, limiti fiscali aggiornati, incentivi mirati.
Sulla non autosufficienza, Liverani ha citato l’esperienza positiva del Fondo LTC dei lavoratori del settore assicurativo e ha proposto un modello misto pubblico-privato, un po’ come quello tedesco. Mentre sul fronte della sanità ha chiesto una revisione dei fondi sanitari e delle polizze individuali, con regole e agevolazioni capaci di portare più risorse verso il Servizio Sanitario Nazionale.
In chiusura il messaggio è stato chiaro: “Se vogliamo trasformare questo inverno demografico in una nuova primavera, serve un cambio di passo immediato”. Informazione, strumenti digitali per monitorare la propria posizione previdenziale, incentivi fiscali: è da qui che bisogna ripartire. Il settore assicurativo - ha ricordato Liverani - non si limita a segnalare il problema: è pronto a contribuire in maniera concreta, con soluzioni già disponibili, per costruire un sistema di protezione sociale che sia davvero all’altezza della sfida.