
Sono ormai 25 anni che le compagnie cercano di convincere i consumatori a utilizzare le tecnologie di monitoraggio per poter beneficiare della riduzione dei loro premi assicurativi, ma la proposta non ha mai riscontrato grande entusiasmo.
Introdotte per la prima volta nel 1998, le tecnologie monitorano vari aspetti del comportamento dei clienti in modo che l’assicuratore possa determinare meglio il loro profilo di rischio.
Ad esempio, i conducenti installano sensori nelle loro auto per monitorare le loro abitudini di guida o indossano dispositivi simili a Fitbit per tenere traccia della loro attività fisica. Le compagnie assicurative raccolgono i dati, li analizzano e, utilizzando l'analisi dei dati, offrono sconti sui premi ai conducenti sicuri o alle persone che si mantengono in condizioni migliori di salute. Secondo la teoria economica, le persone dovrebbero essere contente di sottoscrivere contratti assicurativi basati sull’utilizzo (UBI).
Gli economisti spiegano che i dispositivi combattono l'azzardo morale e possono anche far risparmiare i consumatori, che però si sono sempre mostrati resistenti. Ad esempio, i dispositivi di monitoraggio sulle automobili, hanno solo il 5% circa di penetrazione del mercato a livello globale.
"Avrebbero dovuto essere la soluzione del futuro, ma non hanno preso piede", afferma Richard Peter, professore di finanza presso il Tippie College of Business ed esperto di assicurazioni che si è chiesto come mai così tanti clienti rinuncino all'opportunità di risparmiare soldi per l'assicurazione auto. In uno studio appena pubblicato, presenta un modello teorico che suggerisce che l'algoritmo utilizzato dalle compagnie assicurative per determinare gli sconti è troppo complicato per essere compreso dalla maggior parte delle persone, che non riescono a capire cosa succede nella "scatola nera" e temono di essere classificati erroneamente come cattivi guidatori anche quando non si assumono rischi inutili. Il fatto che alcune aziende spesso esternalizzino questi algoritmi a terzi, poi, non fa che confondere ulteriormente i consumatori.
"Gli assicurati ritengono di non aver bisogno di questa tecnologia, e preferiscono continuare con la tipologia di contratto che hanno sempre avuto", ha dichiarato Peter.
I sensori, inoltre, non sempre sono in grado di capire il contesto reale di quella che a prima vista potrebbe sembrare una guida pericolosa. Un conducente potrebbe dover sterzare improvvisamente per evitare un incidente, per esempio, ma l'algoritmo potrebbe penalizzarlo semplicemente perché interpreta la manovra come un’attività irregolare, senza valutarne la motivazione.
Peter ha detto che questo porta ad altri problemi per la compagnia di assicurazioni, portando ad esempio una compagnia tedesca che ha provato a introdurre contratti automobilistici UBI (Usage-Based Insurance), ma che alla fine ha dovuto abbandonare l'iniziativa perché il suo customer care è stato subissato di chiamate da parte di clienti che protestavano per aver ricevuto penalizzazioni ingiuste.
Lo studio di Peter, "Mitigating moral hazard with usage-based insurance", svolto in collaborazione con Julia Holzapfel e Andreas Richter dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco, verrà pubblicato in un prossimo numero del Journal of Risk and Insurance, l’organo di stampa ufficiale dell'American Risk and Insurance Association.