Si è tenuta martedì scorso l’audizione del presidente dell’Ania, Aldo Minucci, presso la 10° Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato sul Decreto Crescita bis approvato il 4 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri. Secondo il numero uno dell’Ania le norme del decreto sono per la maggior parte dirette “a intervenire sulla questione Rc auto con l’obiettivo, in alcuni casi non centrato e anzi completamente ribaltato, di ridurre i prezzi delle coperture”.
“Se l’obiettivo è giusto – ha detto Minucci - sono però sbagliati gli strumenti, o almeno alcuni di essi” anche perchè il decreto legge “muove da alcuni presupposti che non trovano riscontro nella realtà del mercato, ossia che l’assicurazione Rc auto in Italia sia caratterizzata da: scarsa concorrenza fra imprese; ridotta mobilità degli assicurati; mancata conoscenza delle offerte presenti sul mercato”.
Per attivare un trend di contenimento delle tariffe Rc auto l’unica strada che intravede Minucci è quella di intervenire sui fattori strutturali che mantengono elevato il costo dei sinistri.
Di seguito riportiamo l’intervento del Presidente dell’Ania in riferimento alla collaborazione fra intermediari:
La collaborazione fra intermediari
Siamo infine nettamente contrari alle disposizioni che prevedono la c.d. “collaborazione tra intermediari” di primo livello, ossia agenti, broker, banche, SIM, istituti finanziari e Poste italiane (articolo 22, commi da 10 a 13 del decreto).
Nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto si afferma che le norme in questione risolverebbero “una questione interpretativa dell’attuale trasposizione in legge nazionale (articolo 109 del Codice delle assicurazioni) della direttiva in materia di intermediazione assicurativa (2002/92/CE), la quale impedisce numerose forme di collaborazione tra intermediari: ad esempio un agente non può collaborare con un broker, i broker non possono collaborare tra loro, ed entrambe le categorie professionali non possono collaborare con le reti bancarie. Tali divieti, non previsti in ambito europeo dalla direttiva, di fatto limitano la concorrenza nel settore assicurativo e creano una disparità di trattamento rispetto agli operatori europei cui tali divieti non sono applicati. L’importanza del ruolo della cooperazione tra intermediari nell’assolvere in modo adeguato all’incarico ricevuto dal cliente, è riconosciuto dalla Commissione Europea nell’Interim Report Business Insurance Sector Inquiry del gennaio 2007, che ammette la presenza contemporanea di più intermediari nella distribuzione assicurativa.”
Le considerazioni in parola sono mal poste, in quanto si vorrebbe far derivare la legittimità di forme collaborative tra intermediari dalla Direttiva n. 92 del 2002, che invece non affronta minimamente il problema, così come non entra nel merito dei rapporti che si instaurano tra imprese e intermediari.
E infatti, a prescindere dalle scelte legislative seguite nel recepimento della Direttiva, la questione è di diversa natura e riguarda il ruolo dell’autonomia negoziale privata degli operatori economici.
In tutti gli altri paesi europei diversi dall’Italia, in cui vigono i principi di libera negoziazione dei rapporti, gli assetti contrattuali delle forme di collaborazione tra imprese e intermediari e tra intermediari tra di loro sono regolati esclusivamente dall’autonomia privata. Ne discende, ad esempio, che in Francia o in Spagna, in cui non sussistono divieti formali di collaborazione tra gli intermediari, un agente in esclusiva non potrà mai collaborare con un altro agente o con una compagnia diversa dalla mandante e ciò in forza del contratto privato che lo lega all’impresa.
In altre parole, attraverso il richiamo alla Direttiva Intermediari del 2002 si vorrebbe giustificare l’imposizione di gravi condizionamenti all’attività di impresa di assicurazione, che non potrebbe far valere, nei confronti degli intermediari ad essa legati da rapporto di agenzia, clausole che risultano legittime in tutta Europa.
Quanto poi al richiamo dell’Interim Report Business Insurance del 2007, lì la questione riguardava esclusivamente i rapporti di collaborazione tra broker di grandi dimensioni e broker di piccola dimensioni (collaborazione già consentita in Italia, così come è consentita la collaborazione tra broker e agenti). L’Interim Report auspicava l’affermarsi di una forma di collaborazione tra intermediari indipendenti e non tra intermediari legati ognuno ad una compagnia diversa, che sarebbe un modello illogico visto che tali intermediari operano nell’interesse dell’impresa e non del cliente come tipicamente avviene invece per i broker. Appare quindi sorprendente – e contrario alla logica di un mercato libero e concorrenziale – che un’impresa debba accettare per imposizione di legge che un proprio agente le faccia concorrenza, segnalando la possibilità di concludere un contratto con un altro competitore. Peraltro, l’allungamento orizzontale della filiera distributiva, con l’intervento di più di un intermediario, comporta inevitabilmente un aumento dei costi a carico degli assicurati. Si mettono così a rischio gli investimenti pluridecennali in tecnologia e in promozione effettuati dalle imprese in favore dei propri agenti, costringendole a nuove soluzioni informatiche complesse, da condividere non si sa con quanti concorrenti.
Le imprese hanno investito nelle loro agenzie - anche attraverso la formazione degli addetti e la messa a disposizione dei sistemi operativi e dei locali - per poter caratterizzare i propri servizi al cliente e distinguersi dalla concorrenza. Scardinando questo sistema si mina alla base il rapporto di fiducia che intercorre fra agente e compagnia.
Con misure come questa si distorce pesantemente la concorrenza, in quanto competitori esterni potrebbero entrare nel mercato italiano senza sostenere i costi degli investimenti necessari per istituire una rete di distribuzione. Il contrario non sarebbe possibile: imprese italiane non potrebbero avvalersi in altri Stati delle reti proprietarie delle imprese ivi operanti. Questa è la vera disparità di trattamento che si realizzerebbe con le norme in commento.
In questa nuova prospettiva, gli assetti negoziali ed economici dei contratti di agenzia andrebbero rivisti completamente, nell’ambito di un più generale ripensamento delle strategie di distribuzione. Uno scenario prevedibile è quello di una progressiva disintermediazione delle reti tradizionali a favore, ad esempio, dei canali di vendita diretta. Per agevolare l’attuazione della libera collaborazione tra intermediari, il decreto – considerato che gli agenti di compagnie differenti utilizzano piattaforme informatiche di dialogo con le proprie mandanti che sono diverse l’una dall’altra – ha previsto inoltre l’adozione, da parte di tutte le imprese, di uno standard di piattaforma comune su Internet per la gestione e la conclusione dei contratti assicurativi.
Nel merito, si osserva che la costruzione di una piattaforma di interfaccia comune tra le imprese per la stipulazione dei contratti implicherebbe la messa in comune di strumenti che debbono essere riservati esclusivamente ad ogni singola impresa in quanto posti a presidio della gestione corretta e in equilibrio economico dell’assunzione dei rischi. La norma, nella versione attuale, mette a repentaglio la selezione dei rischi (elemento essenziale nell’esercizio dell’attività assicurativa) e pone non pochi problemi in termini di disciplina della concorrenza, poiché metterebbe a fattor comune le politiche commerciali delle compagnie.
La messa in comune delle politiche commerciali determinerebbe una violazione dei regolamenti comunitari che nel settore assicurativo vietano scambi di informazioni su elementi sensibili dell’offerta del servizio, quali prezzi e condizioni di contratto. Dal punto di vista tecnico, la disposizione non è attuabile. Piattaforme di questa natura non sono realizzabili se non attraverso investimenti tecnologici ingentissimi e con tempi di realizzazione e di esecuzione indefinibili, perché si dovrebbero mettere insieme sistemi complessi e articolati, costruiti all’origine con linguaggi, strutture, funzioni e utilizzazioni completamente diversi tra loro. L’attività necessaria per un’opera di questa dimensione sarebbe costosissima, a partire dall’impianto iniziale fino alla continua manutenzione che sarebbe necessaria a seguito di aggiornamenti di prodotti, di normative, etc..
I costi verrebbero ribaltati sui prezzi delle polizze.
L’imposizione per legge di uno strumento unico di questa natura non avrebbe precedenti. È come se a un cliente che entrasse in una banca per chiedere di aprire un conto corrente l’impiegato di banca potesse offrire il conto di un’altra banca collegandosi al sistema operativo di quest’ultima senza neppure metterla in condizione di valutare l’eventuale stipulazione del contratto.
Infine si osserva che la misura sulla piattaforma comune tenderebbe ad appiattire il mercato. Il paradosso, infatti, è che la norma, invece di ampliare la concorrenza, rischierebbe di omologare i comportamenti degli operatori, attraverso offerte di prodotto e di prezzo uniformi.
Per tutti questi motivi, secondo noi, queste norme vanno stralciate.