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Coface: il ritorno dei rischi nei paesi emergenti

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Mercoledì, 27 Marzo, 2013 - 06:21
Autore: Gillespie

Nonostante la ripresa della crescita, stimata al 5,1% nel 2013, e il miglioramento dei fondamentali sovrani ed esterni, i rischi dei Paesi emergenti non sono scomparsi ma hanno cambiato natura. Sul piano politico, sono aumentate le tensioni, testimoniate dai movimenti di protesta in Nord Africa e Medio Oriente, ma anche in Russia o in India. L’ondata delle rivoluzioni nel mondo arabo ha manifestato nuove rivendicazioni politiche, culturali e istituzionali nelle società emergenti. Al fine di analizzare la capacità di una società di provocare rotture politiche, Coface ha elaborato una griglia di lettura che mette in relazione due tipi di indicatori: le pressioni al cambiamento (inflazione, disoccupazione, controllo della corruzione ecc.), che misurano l’intensità delle tensioni sociopolitiche in un certo Paese, e gli strumenti del cambiamento (istruzione, social network, incidenza dei giovani, ruolo della donna ecc.), che colgono la capacità di queste società di tradurre tali frustrazioni in azione politica. 

Fra i 30 Paesi emergenti in esame, la zona Nord Africa e Medio Oriente si distingue nettamente per la contemporanea presenza di forti pressioni al cambiamento e di strumenti. Questa analisi evidenzia il carattere persistente del rischio di instabilità in questa regione, soprattutto nei casi in cui i regimi post-rivoluzionari si sono rivelati incapaci di rispondere alle istanze della popolazione che li ha portati al potere.

Nigeria, Russia, Kazakhstan e Cina manifestano livelli di frustrazione analoghi o superiori alle situazioni di Tunisia ed Egitto, ma una minore presenza di strumenti limita la loro capacità di trasformare le frustrazioni in rottura di carattere politico.

Diventati dal 2008 armi di difesa dagli shock di cui i Paesi emergenti non sono responsabili, il controllo dei capitali e il protezionismo commerciale rappresentano anche un rischio che pesa sulle imprese. Si noti che la Russia, l’Argentina e – in misura minore – l’India sono di gran lunga i Paesi più protezionisti, mentre il Messico, il Sudafrica e la Turchia restano relativamente aperti al commercio internazionale.

Il massiccio ricorso alle misure restrittive del commercio può portare a ritardi di pagamento più lunghi per gli importatori, ma soprattutto a barriere all’entrata per le imprese esportatrici verso quei Paesi che mettono in atto tali misure. A livello mondiale, gli effetti – per ora limitati – potrebbero aggravarsi nel contesto di divisione internazionale dei processi di produzione, penalizzando così l’attività di tutte le imprese della catena. Tale tendenza, inoltre, rischia di colpire soprattutto le imprese europee alla ricerca di sbocchi dinamici in un momento in cui la domanda domestica resta stagnante.

Le politiche monetarie espansive attuate nei Paesi emergenti a partire dalla crisi 2008-2009, unitamente alle carenze in materia di regole prudenziali, hanno favorito una crescita sostenuta del credito bancario, fino a formare vere e proprie bolle del credito. Sulla base di un indicatore sintetico di bolle del credito, che mette in relazione il livello dello stock di credito e la sua crescita, Coface ritiene che l’Asia emergente sia la regione più a rischio (Malesia, Thailandia e, in misura minore, Corea del Sud, Cina e Taiwan). Altri Paesi hanno uno stock di crediti verso il settore privato meno elevato ma che aumenta rapidamente.

Cile, Turchia, Russia e Venezuela sono anch’essi in una situazione di boom del credito, o vi sono vicini.

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