Tra Unicredit e i sindacati non è ancora il momento di deporre le armi. Ieri la banca ha illustrato nel dettaglio il piano industriale alle sigle del credito: una prima presa di contatto e poco più, dopo l’annuncio della cura da cavallo che porterà fuori dal gruppo 8.500 dipendenti (5.700 solo in Italia) entro il 2018.
Qualche novità però emerge lo stesso. E non si tratta di novità di poco conto. Della platea dei lavoratori in uscita fanno parte anche 2.400 esuberi ereditati dal precedente piano, rimasti finora in stand by a causa dell’allungamento dell’età pensionabile determinato dalla riforma Fornero.
“Ora si tratta di vedere - spiega il segretario nazionale Fiba Pier Luigi Ledda - quanti di loro hanno maturato i requisiti per accedere alla pensione nel frattempo. Il problema è che Unicredit vorrebbe imporre l’uscita obbligatoria, una novità assoluta per un settore che ha sempre governato le ristrutturazioni sulla base del criterio di volontarietà”.
A tenere in apprensione il sindacato è anche la “sterilizzazione” del contratto di secondo livello, una misura grazie alla quale Unicredit conta per tagliare i costi.
“Senonché - ricorda Ledda - l’attacco alla contrattazione di secondo livello è stato già sferrato dall’ABI come aperitivo alla trattativa sul contratto nazionale. E questo non può non costituire un’ulteriore pietra d’inciampo sulla strada del negoziato aziendale, vista la coincidenza dei tempi”.
La Fiba infatti, presenterà la prossima settimana, al suo Consiglio Generale, la piattaforma da sottoporre a Palazzo Altieri.
“Logico che in questo contesto - conclude Ledda - un piano industriale da oltre cinquemila esuberi finisca per alimentare le tensioni. Del resto il passivo sul piano occupazionale è talmente forte che è come se scomparisse una banca di medio calibro”.