
In un mondo in cui gli eventi climatici estremi stanno diventando la nuova normalità, le imprese sembrano ancora lontane dal considerare l’accesso all’assicurazione come leva principale per investire in strategie di adattamento.
È quanto emerge dall’ultima Climate Adaptation Survey 2025 di Marsh, che fotografa un quadro globale in cui la resilienza climatica è percepita come necessità urgente, ma troppo spesso rimandata.
Come riferisce Reinsurance News, lo studio, condotto su oltre 130 risk manager a livello internazionale, evidenzia che il 78% delle organizzazioni ha già subito impatti legati al clima – dall’alluvione alle ondate di calore fino allo stress idrico – e che il 74% ha registrato perdite patrimoniali e interruzioni operative. Nonostante ciò, solo il 38% effettua valutazioni approfondite dei rischi climatici, mentre un preoccupante 22% non prende affatto in considerazione gli scenari futuri.
Il divario tra consapevolezza e azione è evidente anche nelle motivazioni che spingono le imprese ad agire: appena il 5% dichiara di investire nell’adattamento con l’assicurazione come driver principale, contro un ben più solido 53% che indica come priorità la “necessità di gestire il rischio”. In altre parole, la copertura assicurativa non è ancora percepita come catalizzatore di strategie di lungo periodo, ma come un tassello accessorio rispetto a pressioni interne, richieste degli stakeholder, vantaggi competitivi o obblighi normativi.
Colpisce anche la questione delle risorse: il 40% degli intervistati afferma di non disporre di fondi sufficienti per politiche di adattamento efficaci, frenati da priorità aziendali concorrenti, da conoscenze limitate sugli scenari futuri e da inevitabili tensioni sulla distribuzione dei capitali. Le differenze regionali aggiungono un ulteriore livello di complessità: negli ultimi tre anni Asia, India, Medio Oriente e Africa sono state le aree più colpite da fenomeni estremi (73% e 68%), seguite dal Canada (67%), a dimostrazione di un rischio ormai trasversale e non confinato a zone “tradizionalmente vulnerabili”.
Interessante notare che tre quarti delle aziende intervistate non esprimono particolare preoccupazione né per l’indisponibilità né per l’eccessivo costo delle coperture assicurative. L’assicurazione non viene dunque vista come un freno, ma nemmeno come stimolo determinante all’azione. Come sottolinea Amy Barnes, responsabile globale della strategia climatica e della divisione energia e potenza di Marsh, “le organizzazioni continuano a sottovalutare gli investimenti in adattamento climatico rispetto alla gravità dei rischi individuati. È evidente l’urgenza di un approccio olistico al rischio climatico, che integri valutazioni a livello di asset e di sistema, e che inserisca l’adattamento climatico nei framework di gestione del rischio d’impresa.”
In un contesto in cui la frequenza e l’intensità dei rischi climatici non accenna a diminuire, l’appello è chiaro: senza piani di resilienza proattivi non solo si mettono a repentaglio gli asset, ma si compromettono anche continuità operativa, ricavi e, in ultima analisi, la sopravvivenza stessa del business.