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Corte di Giustizia UE: la cassa integrazione va estesa anche ai dirigenti

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Martedì, 18 Febbraio, 2014 - 07:56
Autore: Gillespie

Anche per i dirigenti deve essere applicata la normativa che regola la mobilità e la messa in cassa integrazione, e l’Italia non avendo mai previsto una simile equiparazione ha violato il diritto comunitario. 

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione Europea, rilevando come la legislazione nazionale “esclude illecitamente” i dirigenti dalla procedura di mobilità regolata dalla direttiva comunitaria sui licenziamenti collettivi.

L’Italia è venuta meno agli obblighi imposti dalla direttiva 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. La direttiva 98/59 mira a rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi e a ravvicinare le disposizioni in vigore negli Stati membri. È stata recepita attraverso la legge n. 223/1991 che regola la procedura per la dichiarazione di mobilità. L’articolo 2095 del codice civile italiano distingue quattro categorie di lavoratori, ossia i «dirigenti», i «quadri», gli «impiegati» e gli «operai».

Sin dal 2008, la Commissione ha invitato l’Italia a presentare osservazioni in merito alla propria legislazione di recepimento delle procedure di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo previste dalla direttiva 98/59. Secondo la Commissione, l’esclusione dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo di una categoria di lavoratori, designata dalla legge italiana con il termine «dirigenti» (articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991), non è conforme alla direttiva 98/59. La Commissione sostiene che la direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione, non risulta correttamente recepita dalla legge 223/1991, la quale ammette a beneficiare delle garanzie da essa previste unicamente gli operai, gli impiegati e i quadri, escludendo i dirigenti. Essa ritiene che la normativa e i contratti collettivi italiani riguardanti specificamente i dirigenti non colmino tale lacuna.

Nella sua sentenza la Corte ricorda innanzitutto che, armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore dell’Unione ha inteso, nel medesimo tempo, garantire una protezione di livello comparabile dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e uniformare gli oneri che tali norme di tutela comportano per le imprese dell’Unione. Pertanto, la nozione di «lavoratore» non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri. Essa deve essere definita in base a criteri oggettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate: caratteristica essenziale è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione. La categoria dei «dirigenti» ricomprende persone inserite in un rapporto di lavoro. Viceversa, la legge n. 223/1991 si riferisce soltanto agli operai, agli impiegati e ai quadri, con esclusione dei «dirigenti».

Dalla documentazione versata agli atti della Corte risulta inoltre che, in Italia, tale interpretazione è fatta propria sia dall’amministrazione che dalla Corte suprema di cassazione (circostanza non contestata dall’Italia). La Corte sottolinea che la direttiva 98/59 sarebbe parzialmente privata del suo effetto utile in caso di mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori, a prescindere dalle misure sociali di accompagnamento previste in loro favore. Al contrario, non ammette alcuna possibilità per gli Stati membri di escludere dal suo ambito di applicazione questa o quella categoria di lavoratori. Per questi motivi, la Corte dichiara che avendo escluso, mediante la legge n. 223/1991, recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti.

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