
Mentre i pirati informatici affilano le armi con l’intelligenza artificiale, in molte boardroom si diffonde un pericoloso ottimismo. L’ultimo report di Beazley, fresco di pubblicazione, dipinge un quadro contraddittorio: il 29% dei dirigenti globali identifica nel cyber risk la minaccia numero uno per il 2025 (in aumento dal 26% del 2024), eppure ben l’83% si sente “pronto a fronteggiarla”.
Un paradosso che sa di illusione, considerando l’esplosione di minacce sempre più sofisticate. A Barcellona, dove è stato presentato lo studio “Risk & Resilience”, i dati rivelano come la guerra informatica tra Stati, gli attacchi ransomware potenziati dall’AI e l’hacktivismo (attivisti che sabotano aziende per cause ideologiche) stiano trasformando il panorama digitale in un campo minato.
Ma c’è speranza: il 79% delle aziende promette di rafforzare la cybersecurity verso i fornitori esterni, e il 37% investirà direttamente in protezione entro fine anno. Alessandro Lezzi, Group Head of cyber risk di Beazley, mette il dito nella piaga: “La contraddizione tra preoccupazione e percezione di resilienza non riflette la realtà delle minacce, oggi più dinamiche e imprevedibili che mai”. E mentre l’intelligenza artificiale divide i manager – il 79% la vede come leva per le prospettive economiche, ma il 66% teme tagli al personale entro 18 mesi – spunta un altro segnale d’allarme: crescono le paure per violazioni della proprietà intellettuale e nuove normative sulla privacy.
L’unico dato che cala? L’ossessione per l’obsolescenza tecnologica (25%, -2% sul 2024). Forse, suggerisce il report, perché oggi il vero pericolo non è avere tecnologie vecchie, ma non accorgersi di essere già entrati nel mirino.