
Prima la Sars, poi l’influenza aviara e ora Ebola. Sono almeno tre i casi di catastrofe sanitaria annunciata dal 2000 a oggi. E se le conseguenze dei primi due casi sono stati in qualche modo circoscritti, nulla si può ancora prevedere circa l’impatto di Ebola. Di certo non mancheranno gli effetti negativi sul sistema economico, tenuto conto di come l’internazionalizzazione delle imprese abbia allungato la filiera produttiva.
Il rischio di dover subire un fermo produttivo a causa dell’inadempienza di un fornitore, ad esempio africano, è abbastanza elevato.
La domanda sorge spontanea: riuscirebbe un’azienda a sopportare il periodo di quarantena di 21 giorni previsto in caso di presenza di un dipendente infetto? La risposta appare abbastanza scontata.
Molte imprese hanno sviluppato piani di business continuity per fronteggiare danni da catastrofi naturali o incendi, ma la maggior parte non comprende un evento pandemico come causale per far scattare il piano. Eppure, se una malattia contagiosa dovesse colpire anche un solo lavoratore dell’azienda, inevitabilmente si dovrebbe sospendere la produzione per evitare il contagio tra il personale, e alla fine gli effetti non sarebbero poi tanto diversi dagli effetti di una catastrofe naturale.
Per fornire una soluzione alle imprese la società di brokeraggio londinese Miller Insurance Services e l’americana William Gallagher Associates Insurance Brokers Inc. hanno lanciato una copertura assicurativa business interruption per tutelare le aziende dal rischio di interruzione di esercizio a causa del diffondersi di malattie altamente infettive come appunto l’Ebola.