
A otto mesi dall’annuncio congiunto di Assicurazioni Generali e BPCE per la creazione del secondo gestore patrimoniale europeo, il progetto che avrebbe dovuto segnare una svolta nel panorama finanziario continentale appare oggi più fragile che mai. La firma del contratto, inizialmente prevista per giugno, non è ancora arrivata sui tavoli dei rispettivi consigli di amministrazione, alimentando dubbi e tensioni tra gli stakeholder.
Secondo quanto riferisce Teleborsa, a complicare ulteriormente il quadro è intervenuta l’acquisizione di Mediobanca, principale azionista di Generali, da parte di Banca Monte dei Paschi di Siena, seguita dalle dimissioni di Alberto Nagel, figura chiave e sostenitore del CEO Philippe Donnet.
La sua uscita di scena ha rafforzato le posizioni critiche di investitori influenti come Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio, da tempo contrari all’operazione. Caltagirone, che detiene il 6,3% di Generali, ha espresso apertamente la sua opposizione, sostenendo che l’accordo limiterebbe l’autonomia decisionale dell’assicuratore.
Anche il governo italiano osserva con attenzione l’evolversi della vicenda, preoccupato che i risparmi degli italiani possano finire sotto controllo straniero. Generali, tuttavia, difende la bontà dell’operazione, ribadendo che la governance della joint venture sarebbe bilanciata e che la proprietà degli asset resterebbe saldamente nelle sue mani. Secondo la compagnia, l’accordo è strategico in un settore dove la scala è determinante.
Presentato a gennaio, il progetto prevede una joint venture paritaria tra Generali Investments Holding e Natixis Investment Managers, con una valutazione di circa 9,5 miliardi di euro e 1,9 trilioni di euro di asset in gestione, posizionandosi subito dietro Amundi. Ma tra equilibri politici, tensioni azionarie e ritardi operativi, il cammino verso la firma definitiva si fa più incerto.