
Secondo diversi osservatori, i mercati azionari sono “gonfiati” e potrebbero essere destinati a subire un crollo, anche pesante. Del resto, dietro le due parole magiche, bitcoin e blockchain, si è sviluppata una gigantesca bolla speculativa che ha dato spazio a tanti titoli sensazionalistici sugli iperbolici quanto virtuali rialzi e ribassi delle criptovalute e una campagna pubblicitaria martellante sul web e sui social.
Un esempio certo, in uno scenario alquanto fragile. Una ricerca effettuata da Steel City Re - società americana leader nell’analisi e nella gestione della corporate reputation – sostiene che la vivacità dei mercati azionari abbia finora nascosto la vera portata della crisi che affligge molte aziende alle prese, lo scorso anno, con problemi reputazionali.
Se dal 2011 al 2016 si è registrato un aumento delle perdite causate da danni reputazionali, nel corso del 2017 molte delle aziende colpite hanno toccato il tetto massimo delle perdite.
Ma quali sono le cause dell’esplosione di crisi reputazionali degli ultimi anni?
Secondo Nir Kossovsky, ceo di Steel City Re, sono principalmente tre i fattori scatenanti: le crescenti aspettative degli stakeholder che si traducono in una bassa soglia di tolleranza; l’utilizzo dei Social Media e la loro capacità di diffondere notizie false; il crescente senso di delusione e frustrazione fra la popolazione.
Ogni consumatore ha ormai sempre uno smartphone in tasca e una piattaforma o un canale social dove poter condividere con il mondo la sua insoddisfazione e le sue lamentele. E soprattutto i Social sono in grado di diffondere un messaggio negativo alla velocità della luce, con conseguenze che risultano ancora oggi difficilmente misurabili.
“Non penso – aggiunge Kossovsky – che la tecnologia possa ulteriormente peggiorare il problema, come non credo che gli utenti dei social media possano diventare ancora più aggressivi nell’utilizzo della piattaforma di quanto non lo siano oggi”.
Anche nel caso in cui fossimo arrivati a regime, i social media continueranno a essere un’arma puntata sulla reputazione delle imprese, dove consumatori e stakeholder sfogheranno le loro lamentele e arrabbiature varie.
Di questo le aziende ne sono consapevoli, sanno che il danno reputazionale è lì sempre a un passo. “Penso che le aziende non abbiano più dubbi sul fatto che il rischio reputazionale sia tangibile, sia qualcosa di materiale ma, ancora più importante, sanno bene che possono agire per limitare il rischio e non rimanere semplici vittime passive in balia della tecnologia”.