
Tra Uber e i suoi driver esiste un rapporto di lavoro e pertanto l’azienda deve pagare i contributi sociali.
Lo sanciscono diverse sentenze, non ancora definitive, del Tribunale delle assicurazioni sociali del Canton Zurigo, smontando la tesi di Uber secondo cui il servizio di trasporto privato è offerto dagli autisti che lavorano attraverso la sua applicazione come lavoratori autonomi.
Nelle sentenze relative a diversi autisti di Uber, il tribunale zurighese arriva però alla conclusione che anche se alcuni elementi – come la flessibilità temporale degli incarichi – parlano a favore del lavoro autonomo, la maggior parte degli aspetti presi in considerazione “indicano chiaramente che si tratta di lavoro dipendente”.
Anche se nei suoi contratti, Uber descrive molti requisiti come semplici “raccomandazioni”, queste hanno il carattere di vere e proprie istruzioni. Un autista è ad esempio autorizzato a modificare le raccomandazioni sulle tariffe, ma soltanto riducendole, ossia a sue spese. Ciò rappresenta “di fatto l’esercizio del diritto di dare istruzioni” e comporta in altre parole un rapporto di subordinazione, secondo il tribunale.
Anche per quanto riguarda il rischio imprenditoriale, il tribunale ritiene che ci sia un rapporto di dipendenza verso gli autisti. Questi ultimi non acquisiscono direttamente i passeggeri, ma se li vedono assegnati attraverso l’app di Uber. Stesso discorso per i passeggeri, che non prenotano una corsa presso un autista in particolare, ma presso Uber.