Il valore delle azioni del broker internazionale Willis Towers Watson è cresciuto del 17% dal momento dell’avvenuta integrazione fra Willis e Towers Watson nel 2016. Un segnale importante che giustifica tutti gli sforzi compiuti per risolvere i problemi di integrazione sorti durante il primo anno di unione.
Problemi che sono stati più numerosi di quanto previsto in origine, come ha ricordato al “Financial Times” John Haley, chief executive officer di Willis Towers Watson, ma averli superati “ci fa sentire molto più forti di quando abbiamo annunciato la fusione nel 2015”.
Rispetto alle operazioni di merger del passato che ponevano sostanzialmente problemi di scala, chiedendo di traslare su numeri più grandi l’attività svolta fino a quel momento, in questa occasione “l’obiettivo era diverso, poiché si è sempre ragionato in un’ottica diversa, ovvero quella di allargare la gamma dei servizi offerti alla clientela. E questo ha posto il management davanti a nuove problematiche, con le quali in certi casi non c’era molta familiarità”.
I problemi più grandi hanno riguardato il settore dei servizi di brokeraggio corporate, poiché la fusione ha coinciso con un piano di centralizzazione delle attività già avviato e ciò ha creato in molti casi diverse complicazioni. “Ci è capitato di trovarci in situazioni in cui tre o quattro manager risultavano responsabili di attività solitamente sotto il controllo di un’unica persona. Tuttavia, le cose sono poi migliorate, grazie al lavoro del nuovo team di gestione che ha proceduto a stabilizzare l’attività e semplificare la struttura”.
Haley, che fa parte del Gruppo dal 1977, ha spiegato che l’accordo da 18 miliardi di dollari è stata difficile anche perché si è sempre ragionato in termini di qualità dei servizi. Haley rimarrà sulla plancia di comando di Willis Towers Watson almeno fino alla fine del 2018, ma la società non si farà trovare impreparata, avendo già in atto un piano per la sua successione.