A poche settimana dall’esito del referendum che ha sancito l’uscita dall’Unione europea e il terremoto politico che ha portato alla guida il nuovo premier Theresa May, Londra continua a fare i conti con l’accavallarsi di segnali negativi circa le prospettive future del Regno Unito.
L’ultimo dato, in ordine di tempo, è arrivato dall’indicatore Pmi (Purchasing manager index) di Markit che, per il settore privato, ha registrato la più forte contrazione dall’inizio del 2009, scendendo a 47,7 punti rispetto ai 52,4 punti del mese di giugno, sotto i 50 punti che segnano lo spartiacque tra contrazione ed espansione dell’attività economica.
Alla luce di questo dato e del nuovo calo della sterlina (che ha perso quasi il 10% sul dollaro dal referendum sull'Ue) si rafforza quindi l’ipotesi che la Gran Bretagna possa entrare in recessione. Ne sembrano convinti gli analisti come Chris Williamson, capo economista di Markit, che segnala come a luglio si sia registrato “un drammatico peggioramento dell’economia britannica, attribuibile in un modo o nell'altro alla Brexit”.
Un altro analista, Ruth Gregory, dell’osservatorio di Capital Economics, vede nel calo dell’indicatore Pmi i segnali di una “possibile contrazione trimestrale del Pil britannico di circa lo 0,4%”.