
Sulla sanità serve un nuovo patto tra Governo e Regioni che abbia realmente al centro la salute delle persone. È quanto sostiene la Fondazione Gimbe che durante la Winter School 2018 di Motore Sanità tenutasi a Como nei giorni scorsi ha chiesto di fermare le contrapposizioni perché ormai la sanità italiana viaggia a più velocità, mettendo sempre più in crisi il principio di universalità che è uno dei pilastri del Servizio sanitario nazionale.
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe ha spiegato che “dal punto di vista etico, sociale ed economico è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e, soprattutto, influenzano gli esiti di salute della popolazione”.
Cartabellotta ha elencato le tante variabilità regionali a dimostrazione che l’universalismo del Ssn si sta disgregando: dagli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza alle performance ospedaliere, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all'uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud. “Siamo di fronte a 21 sistemi sanitari regionali – ha aggiunto Cartabellotta - liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti a uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e verifica l’adempimento dei Lea con una griglia capace di catturare solo macro-diseguaglianze. E i Piani di rientro per le Regioni inadempienti, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali Irpef più elevate per risanare i conti regionali e necessità di curarsi altrove”.
Nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, prevalentemente dal Sud al Nord: ma se le spese sono a carico del Ssn, i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei Lea territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non all'occasionalità di un intervento chirurgico.
“Una rinnovata governance del Ssn – ha concluso il presidente della Fondazione Gimbe - non può continuare ad avvitarsi sulla contrapposizione tra centralismo e regionalismo, scaricando sui cittadini il conflitto istituzionale tra poli sempre più indeboliti. Ecco perché il prossimo Esecutivo, senza necessariamente passare attraverso riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie”.