Il Governo cinese ha approvato delle nuove regole molto rigide riguardanti l’utilizzo di piattaforme online e peer-to-peer (P2P) di compravendita di servizi finanziari, nel tentativo di mettere ordine in un settore fino a questo momento poco controllato e che è stato lo scorso anno vittima di una delle frodi finanziarie più gravi del paese.
Nel dicembre 2015 infatti è stato scoperto che Ezubo, il principale dominio online cinese operante nel settore, stava truffando oltre 900.000 investitori per una somma complessiva di 7,6 miliardi di dollari. I guadagni promessi sugli asset erano ben al di sopra della media del mercato – tra il 9% e il 14,6% - ma oltre il 95% dei prodotti venduti erano fasulli e coinvolti in uno dei più grandi schemi Ponzi mai messi in atto.
Visto l’impatto catastrofico che questa frode ha avuto sulla vita di molti investitori, le autorità hanno varato una serie di modifiche di inasprimento delle normative esistenti, volte a tutelare i consumatori dal rischio di perdere i loro risparmi imbattendosi in altri operatori finanziari fraudolenti. Secondo le nuove disposizioni della China Banking Regulatory Commission gli individui non potranno prendere in prestito somme superiori a 200.000 Yuan (l’equivalente di 26.633 Euro) da una singola piattaforma, mentre se si rivolgono a più provider contemporaneamente il tetto massimo è di 1 milione di Yuan. I clienti corporate invece hanno delle soglie limite rispettivamente di 1 milione e 5 milioni di Yuan. I gestori dei canali online inoltre non potranno più vendere direttamente strumenti di wealh management, ma dovranno appoggiarsi a banche certificate che fungano da custodi.
Le nuove disposizioni avranno un impatto notevole su un settore che negli ultimi anni ha assistito a una crescita rapidissima in Cina. Solo nell’ultimo mese il giro d’affari ammontava a $98,7 miliardi, ben 20 volte in più che nel gennaio 2014. Il Governo cinese intende proteggere soprattutto i clienti privati e le piccole attività commerciali, ovvero quei soggetti più vulnerabili e solitamente meno tutelati. Si stima infatti che nel paese esistano oltre 2.300 provider online, e secondo una rilevazione effettuata a giugno più del 40% delle piattaforme è considerata “potenziale causa di problemi”.