
Il carico fiscale complessivo delle PMI italiane si attesta al 59,1% dei profitti, mentre i colossi del web presenti in Italia, possono vantare un tax rate del 33,1%.
Una differenza enorme quella portata alla luce dagli esperti della Cgia di Mestre sulla base dei dati 2018.
Il coordinatore dell’Uffici studi della Cgia Paolo Zabeo ha spiegato che i dati sono desunti da fonti diverse, quindi non comparabili da un punto di vista strettamente scientifico, tuttavia “è verosimile ritenere che sulle piccole imprese il carico fiscale sia quasi doppio rispetto a quello che grava sui giganti tecnologici presenti in Italia. Un’ingiustizia che grida vendetta, non tanto perché su questi ultimi grava un peso fiscale relativamente contenuto, ma per il fatto che sulle nostre Pmi il peso delle tasse e dei contributi è tra i più elevati d’Europa”.
Tra i Paesi dell’Area dell’euro, i dati della Banca Mondiale indicano che solo la Francia (con il 60,7%) registra una pressione fiscale sui profitti delle imprese superiore alla nostra, contro una media dei 19 Paesi che utilizzano la moneta unica pari al 42,8%.
Ma quali sono le ragioni per cui le controllate italiane delle principali multinazionali del web possono beneficiare di un tax rate del 33,1%? Il motivo è da ricercarsi nel fatto che la metà dell’utile ante imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata che procura un risparmio fiscale che, nel periodo 2014-2018, ha sfiorato complessivamente i 50 miliardi di euro.
Tuttavia non sono solo i giganti stranieri del web a sfruttare la fiscalità di vantaggio concessa da molti Paesi: anche alcuni grandi player italiani, da anni, hanno trasferito la sede legale principale o di una consociata all’estero. Operazioni formalmente ineccepibili da un punto di vista fiscale-societario con cui, sottolinea l'associazione, si è però ridotta la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia, penalizzando in particolar modo le realtà imprenditoriali di piccola dimensione che, a differenza delle grandi aziende, non hanno la possibilità di lasciare armi e bagagli e trasferirsi altrove.
Oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le più elevate d’Europa, l’Italia, evidenzia ancora la Cgia, è il Paese - assieme al Portogallo - dove pagare le tasse è più difficile. Sempre dai dati presentati recentemente dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), da noi sono necessari 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte.