Lo scandalo che ha travolto il gigante dei social media Facebook sepolto da critiche feroci e azzoppato in borsa per non aver protetto i dati degli utenti è stata una delle notizie principali delle ultime settimane, ripresa dai media di tutto il mondo.
Sono circa 87 milioni gli utenti di Facebook che hanno visto trattare impropriamente i loro dati attraverso la Cambridge Analytica che ha messo a segno una delle più grandi violazioni di dati della storia. L’azienda, legata all’ex consigliere del presidente USA Trump, Steve Bannon, ha collaborato nelle campagne elettorali di Donald Trump e in quella pro-Brexit, ha utilizzato i dati dei profili Facebook per creare un potente software al fine di prevedere e influenzare le scelte elettorali attraverso annunci politici personalizzati. La società di analisi, secondo quanto rivelato da un informatore che ha fatto esplodere lo scandalo, ha iniziato nel 2014a raccogliere senza autorizzazione i dati personali di un numero enorme di utenti del social network, molto superiore a quanto si fosse inizialmente pensato.
Con il crescere dello scandalo ha iniziato a diffondersi sui social l’hashtag #deletefacebook che ha spinto molti utenti di Facebook a cancellare i loro account, essendosi resi conto che il social network aveva accesso a molti più dati di quanto pensassero, compresi molti dei loro dati personali tra cui chiamate e sms. Intanto, a partire dal 9 aprile Facebook ha iniziato ad avvisare dell’accaduto gli che hanno visto condividere le loro informazioni con Cambridge Analytica.
Degli 87 milioni di profili complessivamente violati la netta maggioranza, oltre 70,6 milioni, appartiene a utenti statunitensi. Al secondo posto le Filippine con 1,17 milioni, seguite dall’Indonesia con 1,09 milioni, mentre in quarta posizione c’è il Regno Unito, con 1,07 milioni di profili usati impropriamente.
In Italia gli utenti coinvolti sono 214.134, a fronte di 31 milioni di account registrati.
Lo scandalo di Facebook dovrebbe aumentare anche la consapevolezza delle aziende sui pericoli connessi alla gestione dei dati dei clienti e sulla necessità di aumentare il livello di protezione. Molte piccole imprese tendono infatti a sottovalutare la loro vulnerabilità, sentendosi al sicuro da possibili violazioni di dati e la stragrande maggioranza non ha una copertura assicurativa cyber.
Secondo Jeff Somers, presidente dell’americana Insureon, “la maggior parte dei piccoli imprenditori stanno guardando con attenzione e curiosità a quanto sta succedendo con lo scandalo Facebook e sono probabilmente molto preoccupati non solo sui loro dati personali, ma anche su quelli aziendali che potrebbero avere un pesante impatto sul business. Si spera che la gravità di questo fatto perlomeno aiuti gli imprenditori a rendersi conto che la sottrazione o l’utilizzo improprio dei dati sono fenomeni che esistono e che possono colpire tutti”, mentre per quanto riguarda il settore assicurativo “c’è ancora molto lavoro da fare, quando si tratta di capire i rischi cyber”.