
Il cambiamento climatico è “il padre di tutti rischi” del settore assicurativo. A sostenere questa tesi è Mark Wilson, Ceo di Aviva che nei primi mesi dell’anno ha indossato un bel paio di stivaloni di gomma ed è sceso nelle strade inglesi più alluvionate. “Ho visto nostri clienti con le lacrime agli occhi per aver perso tutto. Solo stando tra le persone si riesce a percepire chiaramente la potenza devastante provocata dai cambiamenti climatici capaci di causare danni irreparabili per la sopravvivenza delle persone”.
Proprio il business assicurativo si trova in una posizione privilegiata per valutare i rischi del cambiamento climatico. “Se si continuerà a non fare nulla – ha detto Wilson – potremo presto arrivare al punto di non essere più in grado di “prezzare” correttamente un rischio, rendendo così impossibile lo strumento assicurativo per la protezione di beni e famiglie”.
Wilson è coinvolto in prima persona e sta fornendo la sua consulenza a livello istituzionale affinchè il Regno Unito possa impostare una strategia efficace nei prossimi mesi che saranno il periodo di avvicinamento al summit sui cambiamenti climatici di Parigi 2015.
Una conferenza, quella parigina, che dovrà segnare una tappa decisiva nei negoziati del futuro accordo internazionale per il dopo 2020, con l’adozione dei grandi orientamenti, come deciso a Durban.
A Parigi si punterà ad arrivare a un accordo in cui tutti i paesi, fra cui i maggiori emettitori di gas a effetto serra – paesi sviluppati nonché paesi in sviluppo – sottoscrivano un accordo universale costruttivo sul clima.
In particolare, la Francia desidera un accordo applicabile a tutti che dovrà trovare un equilibrio tra l’approccio di Kyoto – una divisione matematica degli impegni di riduzione delle emissioni, a partire da un comune limite massimo consentito – e quello di Copenhagen, un insieme di impegni nazionali non costrittivi e senza caratteristiche paragonabili.
L’accordo dovrà poi attuare un cambiamento di paradigma, prendendo in conto la sfida climatica non in quanto necessaria “condivisione del fardello” delle emissioni, ma anche come un’opportunità di creazioni di posti di lavoro e di ricchezza, di invenzione di nuovi modi di produzione e di consumo.