
Il rischio di pandemie è uno dei più recenti campi di applicazione dell’insurance, insieme alle minacce terroristiche e ai cyber-attacchi. Negli ultimi anni infatti si è assistito a continue emergenze sanitarie causate dalla diffusione di malattie ad alto tasso di contagio, che hanno causato migliaia di morti in diverse aree del mondo. Zika è solo l’ultima di una lunga serie.
Queste catastrofi umanitarie aprono un’interessante prospettiva di mercato per le compagnie, le quali stanno già sviluppando prodotti assicurativi e para-assicurativi in grado di far fronte agli altissimi costi che i paesi del terzo mondo si trovano - impreparati - ad affrontare. Per questo lo scorso mese durante il Summit del G7 in Giappone è stato deciso di potenziare il Pandemic Emergency Financial Facility (PEF), un programma di contenimento del rischio pandemico nato dalla Banca Mondiale e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’idea è quella di creare uno strumento di insurance in collaborazione con compagnie assicurative e società di “risk modeling” che permetta una diffusione veloce ed efficace di fondi quando si verificano disastri di larga scala.
Il programma PEF
Stando alle parti coinvolte (Swiss Re, Munich Re e AIR Worldwide), il piano sarà operativo a partire da fine 2016. Sarà composto da un meccanismo assicurativo parametrico e da una riserva di liquidità alimentata da offerte di garanzia provenienti dai partner istituzionali.
Il sistema PEF è pensato per massimizzare il rendimento - quindi la mobilizzazione di fondi - quando le epidemie raggiungono alcuni determinati livelli di numero di vittime o di infezioni contratte in un dato lasso di tempo, ma soprattutto per permettere un effettivo accesso ai capitali entro 10 giorni dall’inizio dell’emergenza. Questo numero potrebbe sembrare grande, ma in realtà è molto inferiore rispetto ai tempi tipici delle trattative e delle decisioni politiche, che spesso causano solamente una dispersione delle risorse. Nel caso Ebola per esempio, sei mesi dopo l’inizio della diffusione del virus era stato sbloccato a malapena un terzo dei fondi di garanzia disponibili.
I primi tre anni del progetto PEF prevedono che i “paesi donatori” del G7 forniscano supporto finanziario alla Banca Mondiale, al fine di acquistare copertura assicurativa per conto di 77 paesi in via di sviluppo. Secondo Nikhil da Victoria Lobo - Swiss Re divisione America - tramite questa allocazione di capitali le riassicurazioni e il mercato finanziario riusciranno a esprimere tramite un prezzo monetario la gravità delle epidemie. Ciò permetterà di affrontare le emergenze in modo più adeguato da un punto di vista economico, coinvolgendo partner privati e garantendo l’effettiva copertura dei costi.
L’intenzione della Banca Mondiale è di creare prospettive per un nuovo business, che sia in grado di risolvere il problema delle pandemie sia da un punto di vista umanitario che economico. Questo sistema richiederà stime dei costi più accurate, e studi sempre più raffinati sui modelli di diffusione delle malattie. Inoltre quando la copertura sarà allargata a un pool di paesi sufficientemente più vasto, il costo dei premi decrescerà significativamente, come dimostrano altri esempio di protezione dai rischi sovrani quali il Caribbean Catastrophe Risk Insurance (CCRIF) e l’African Risk Capacity (ARC).
Una minaccia globale
La John Hopkins University School ha collaborato con Swiss Re nella realizzazione di uno studio per analizzare la diffusione delle pandemie nel mondo e per sviluppare degli strumenti finanziari adeguati a far fronte a questi rischi. Dal report emerge una forte correlazione tra l’aumento della minaccia pandemica e i cambiamenti climatici, tesi supportata anche da altri due recenti studi: il Global Risk Report del World Economic Foorum e l’U.S. Global Change Research Program. Ciò significa che le pandemie saranno un fenomeno sempre più diffuso negli anni a venire.
Questa nuova prospettiva di mercato non interessa quindi solamente i paesi in via di sviluppo: le epidemie non sono limitate dai confini nazionali e una minaccia che attualmente risiede in continenti lontani potrebbe domani interessare anche l’Europa o gli Stati Uniti. Come ha dichiarato Viktoria Lobo “Non è un problema dei paesi emergenti, è un problema dell’umanità”.