20 miliardi di euro in meno di tasse, la ricetta della CGIA per rilanciare l’economia italiana. A suggerirlo è uno studio dell’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, che stima necessario un taglio della pressione fiscale di almeno 3-4 punti percentuali per far ripartire i consumi.
Per tornare a crescere, le imprese hanno bisogno di lavorare con una pressione fiscale più leggera, rispetto a quella odierna che, nonostante gli aiuti di Stato per via del coronavirus, continua ad essere asfissiante.
“Con la prossima legge di Bilancio è necessario un intervento choc che nel giro di qualche anno riduca di almeno 3-4 punti percentuali la pressione fiscale”, dice il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo. “Chi ritiene che siano sufficienti solo 10 miliardi si sbaglia di grosso: questa cifra è insufficiente. Per il 2021 è necessaria una contrazione di almeno 20 miliardi di euro”.
L’obiettivo potrà essere raggiunto, secondo Zabeo “solo se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte delle agevolazioni fiscali”. Un’operazione affatto facile, che però il governo dovrebbe impegnarsi a realizzare.
Negli ultimi 10 anni la spending review non ha prodotto risultati apprezzabili, “mentre il numero delle deduzioni e delle detrazioni fiscali è aumentato a dismisura, soprattutto in questo periodo di Covid”. In altre parole, se potessimo contare su una pressione fiscale pari a quella media europea, ogni famiglia italiana risparmierebbe 1.506 euro di tasse all’anno, calcola la Cgia di Mestre, comparando la pressione fiscale di tutti i 28 Paesi aderenti da cui risulta che l’Italia registra una pressione superiore di 2,2 punti percentuali rispetto al dato medio dell’Unione. Da qui il risultato: nel 2019 ogni famiglia italiana avrebbe risparmiato 1.506 euro.
Soldi che servirebbero in buona parte per far ripartire i consumi, in deciso calo negli ultimi mesi, soprattutto nei settori della ristorazione e del turismo, che pagano più di altri la sfiducia degli italiani, per i timori legati al contagio dal Covid da una parte, e alla perdita di potere d’acquisto dall’altro.