
L’amministrazione Trump ha confermato i dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti, una mossa che non sorprende ma che rievoca il precedente del 2018, quando misure simili si rivelarono di breve durata.
Secondo Coface, che ha analizzato gli impatti della misura, il provvedimento, annunciato il 10 febbraio ed effettivo dal 4 marzo 2025, ripropone l’imprevedibilità della politica commerciale statunitense e potrebbe avere un impatto significativo sui rapporti con gli alleati, in particolare con Messico e Canada, i principali fornitori di questi metalli agli USA. Trump ha inoltre dichiarato di voler introdurre dazi reciproci nei confronti di altri paesi, aprendo la strada a possibili negoziati bilaterali per ottenere esenzioni.
L'obiettivo di questi dazi è duplice: proteggere i produttori americani e ridurre la dipendenza dalle importazioni, che oggi coprono circa la metà del fabbisogno statunitense. Rispetto al 2018, l’amministrazione Trump ha inasprito le misure, estendendole anche ai prodotti a valle e introducendo requisiti più severi sulla tracciabilità dei materiali per evitare triangolazioni da Cina e Russia. La decisione arriva in un contesto di prezzi dei metalli in calo e di sovrapproduzione globale, fenomeni che hanno messo in difficoltà l’industria siderurgica americana. Non è un caso che i principali stati produttori di acciaio – Indiana, Ohio, Texas e Pennsylvania – siano strategicamente rilevanti dal punto di vista elettorale.
Un altro elemento chiave è la recente acquisizione di US Steel da parte della giapponese Nippon Steel, respinta sia da Biden che da Trump per motivi di sovranità industriale. Il presidente si allinea così alla posizione dei sindacati siderurgici, rafforzando il messaggio di tutela della produzione nazionale. Tuttavia, non mancano le incertezze sugli effetti concreti di questa politica. Se nel 2018 i dazi non portarono a una ripresa duratura della produzione e dell’occupazione, è lecito chiedersi se la situazione sarà diversa questa volta. Inoltre, il settore dell’alluminio appare particolarmente esposto, data la forte dipendenza dal Canada, che potrebbe avere difficoltà a diversificare i suoi mercati di sbocco.
Un altro rischio è l'effetto indiretto sul mercato cinese: con la sovrapproduzione che già oggi deprime i prezzi, le nuove tariffe potrebbero finire per avvantaggiare l’acciaio cinese rispetto a quello di altri fornitori. Anche i settori a valle, come costruzioni e automotive, subiranno l’impatto dell’aumento dei costi, con potenziali ricadute sull’economia. Infine, l'annunciata politica di dazi reciproci potrebbe scatenare tensioni con le economie emergenti, che esportano una parte rilevante della loro produzione negli Stati Uniti. In un contesto già fragile, la protezione dell’industria metallurgica americana rischia di trasformarsi in un boomerang, alimentando instabilità anziché rafforzare il settore.