Per le imprese italiane i costi dell’approvvigionamento energetico sono insostenibili. Secondo il rappoti di previsione per l’autunno del Centro Studi Confindustria (CSC), si parla di costi che per il 2022 dovrebbero aumentare di 110 miliardi di euro rispetto ai valori pre-pandemia.
Secondo il CSC, “l’incidenza dei costi energetici sul totale sale da 4,6% a 9,8%, livelli insostenibili, ai quali corrisponde, nonostante un rialzo dei prezzi di vendita eterogeneo per settori, una profonda riduzione dei margini delle imprese”.
Nello scenario base, quello in cui la Russia non si ritira dai territori ucraini occupati e non è previsto un razionamento del gas, il CSC prevede un incremento annuo del 3,4%, già più che acquisito a metà anno, che corrisponde a 1,5 punti percentuali in più rispetto allo scenario delineato in aprile. Tuttavia si stima una crescita nulla nel 2023 con una significativa revisione al ribasso rispetto allo scenario di aprile (-1,6 punti), che porta alla stagnazione in media d’anno. Perdono slancio anche gli investimenti delle imprese, soprattuto quelli del settore costruzioni che hanno fornito il contributo maggiore finora, anche grazie al significativo impulso dei bonus edilizi.
Secondo gli esperti di Confindustria, invece, l’effetto finale per l’economia italiana nel caso in cui la Russia bloccasse del tutto l’erogazione di gas e il prezzo dovesse schizzare, sarebbe una minore crescita annua del Pil dello 0,4% nel 2022 e dell’1,2% nel 2023, con un impatto cumulato pari a -1,5% nel biennio, che frenerebbe il mercato del lavoro con 294mila occupati in meno nel biennio.
Il CSC stima una carenza di offerta di gas in Italia pari a circa il 7% della domanda, con impatti rilevanti su attività e valore aggiunto specie nel settore industriale.
Al contrario, nel caso in cui si riuscisse a imporre un tetto di 100 euro al prezzo del gas, il Pil guadagnerebbe l’1,6% nel biennio e l’occupazione crescerebbe di 308mila unità nello stesso periodo.
L’ampia revisione al rialzo della crescita nel 2022 è spiegata dal buon andamento dell’economia italiana fino a metà anno, soprattutto il secondo trimestre, quando il prodotto è aumentato molto al di sopra delle attese (+1,1%).
La crescita acquisita del Pil italiano per il 2022, ovvero quella che si avrebbe se i prossimi trimestri dell’anno registrassero una dinamica nulla, è al +3,6%.
Secondo le previsioni degli industriali, “il terzo trimestre registrerà un rallentamento, anche fisiologico dopo il sorprendente secondo, mentre il prodotto scenderà tra il quarto trimestre del 2022 (-0,6%) e il primo del 2023 (-0,3%). Da un lato, infatti, si è esaurita la spinta legata al gap da colmare rispetto al pre-pandemia, ormai chiuso. Dall’altro, nel terzo e quarto trimestre del 2022 si manifesteranno pienamente gli effetti negativi dell’aumento dei prezzi dei prodotti energetici".
Per Confindustria, l’inflazione resterà a livelli “record” nel 2022 per poi scendere nel 2023. Secondo le previsioni del Csc, in media, si assesterà al +7,5% (da +1,9% nel 2021), con una revisione al rialzo di +1,4 punti rispetto allo scenario di aprile.
Nel 2023, è attesa in discesa, ma ancora elevata, al +4,5% in media, per l’esaurirsi graduale dell’impatto del rincaro di petrolio e gas naturale sulla variazione dei prezzi al consumo energetici (calcolata sui 12 mesi). Si tratta, comunque, di una revisione al rialzo di +2,5 punti rispetto ad aprile.
Inevitabile l’impatto sui consumi che a fine 2023 dovrebbero restare il 3% sotto i livelli del 2019. La spesa delle famiglie italiane dovrebbe crescere quest’anno del 3,1% (ma sotto l’acquisito al secondo trimestre, che è di +3,3%), dopo il rimbalzo del +5,2% nel 2021, per poi rimanere sostanzialmente piatta (-0,1%) nel 2023.