Quei medici e infermieri definiti come eroi ai tempi del coronavirus sono gli stessi che pochi mesi fa venivano insultati o malmenati nei pronto soccorso degli ospedali italiani. Ma oltre agli elevati rischi di contagio che corrono quotidianamente, medici e infermieri rischiano una volta passata l’emergenza di non poter far valere i loro diritti per avere combattuto una guerra senza protezioni adeguate.
Tutto dipende dal decreto Cura Italia: se dovesse passare la linea dell’immunità delle strutture sanitarie come richiesto da tre emendamenti presentati da deputati, le eventuali responsabilità di chi ha mandato allo sbaraglio i camici bianchi non finirebbero nei tribunali.
“Gli emendamenti presentati in Parlamento sulla responsabilità delle strutture sanitarie, pubbliche e private, e degli esercenti la professione sanitaria durante l’emergenza epidemica – commenta Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed - sono retti da un filo comune che mira ad esonerare le condotte dei datori di lavoro da ogni responsabilità penale, civile ed erariale. Di fatto, si sbarra la strada a qualsiasi possibilità di risarcimento, sia per i cittadini che per il personale sanitario che ha già subito, o subirà, danni alla propria salute, spesso con gravi esiti dal punto di vista funzionale e in molti casi perfino con la morte”.
Così formulati tali emendamenti appaiono inaccettabili. Non essendo stati, per fortuna, ancora votati è possibile riscriverli, a parere dell’Anaao Assomed, nel senso di garantire uno scudo giuridico per gli esercenti la professione sanitaria impegnati da settimane in prima linea a contrastare la avanzata della epidemia virale.
“In particolare – propone Palermo - per l’intera durata dell’emergenza sanitaria , bisogna prevedere, sul piano penale, una non punibilità ampia che, fatto salvo il dolo, contestualizzi l’ipotesi della colpa grave alle carenze strutturali ed organizzative riscontrate. E sul piano civile ed erariale, una assenza di responsabilità, per rinviare ad una fase successiva, la definizione di un meccanismo standardizzato e automatico di indennizzo a carico delle pubbliche istituzioni per quanti lamentino un danno”.
Di certo gli eventuali emendamenti farebbero un gran comodo per tenere a posto i conto della sanità di regioni come ad esempio il Piemonte che, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, negli anni dei piani di rientro sanitari avrebbe tagliato tutto il possibile, anche gli accantonamenti per la copertura diretta dei rischi. Vale a dire tutte le risorse messe da parte per risolvere i contenziosi con pazienti e a volte con il personale medico. Secondo la Corte dei Conti, nel 2013 il Piemonte accantonava 26 milioni di euro per le franchigie assicurative. Cinque anni dopo la scorta delle Asl si è ridotta ad appena 900 mila euro. Nulla se paragonati ai 100 milioni del Veneto o agli 80 milioni della Lombardia. E oggi l’epidemia di Covid rischia di mandare al tappeto la sanità. Non solo per i costi della lotta contro il virus, ma anche per le cause di risarcimento danni che, giocoforza, ci saranno. E non saranno poche. La trasmissione del Covid-19 da paziente infetto ricoverato ad altro soggetto all’interno della stessa struttura aprirà inevitabilmente le porte a molteplici azioni risarcitorie. Dal 2017 tutti gli operatori sanitari sono obbligati per legge a sottoscrivere una polizza a copertura di danni contro terzi. Resta aperto il problema se sono i medici e gli infermieri a subire il danno. Il rischio è che per mancanza di risorse, la disputa finisca in lunghi contenziosi legali con le compagnie assicurative.