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Saranno 5,35 milioni i lavoratori che, finita l’emergenza Covid–19, lavoreranno in smart working, anche in maniera parziale: 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920 mila nelle pmi, 1,23 milioni nelle microimprese, 1,48 milioni nelle pa.
Sono le stime contenute nel report che riassume i risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano dai quali si evince anche che nella fase acuta dell’emergenza il lavoro agile ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni e il 58% delle pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte di più dei 570 mila censiti nel 2019.
Il maggior numero di smart worker lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni, 1,13 milioni nelle pmi, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle p.a.
Lo smart working è entrato, ormai, a pieno titolo nella quotidianità dell’universo lavorativo del Belpaese, contribuendo a superare pregiudizi, migliorare competenze digitali, ripensare i processi. Secondo il focus, il 73% degli smart worker rileva un effetto positivo del lavoro da remoto sulle performance dell’organizzazione, per il 76% è aumentata l’efficacia, per il 72% l’efficienza e per il 65% ha portato innovazione nel lavoro.
Per adattarsi a questa «nuova normalità» del lavoro, il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, una su due modificherà gli spazi fisici. Nelle pa saranno introdotti progetti di smart working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%), rispetto alla giornata media attuale.