
Il 2018 è stato l’anno horribilis per la cyber security, considerato l’incremento (+38%) degli attacchi di grave entità registrati nel nostro Paese, per un totale di 1.152 attacchi gravi, circa 130 al mese, secondo l’ultimo Rapporto Clusit sulla sicurezza ICT.
Il 62% degli attacchi in Italia ha provocato danni superiori a 80.000 euro. Un valore sufficiente per mettere in ginocchio una qualunque PMI. Si stima in circa il 33% la percentuale di aziende italiane che hanno sottoscritto una polizza, completa o parziale, che copre i rischi cyber.
“Nell’epoca dell’Industry 4.0, non sempre le imprese prestano la dovuta attenzione ai benefici prospettici derivanti da una puntuale strategia di mitigazione dei rischi cyber”, afferma il Presidente di AIBA, Luca Franzi de Luca. “Inoltre, l’offerta tradizionale reperibile sul mercato rischia di non essere sempre adeguata, per via della previsione di esclusione dei cyber risk dalle coperture property & casualty. Di contro, le coperture specifiche sui cyber risk, tendono a escludere le lesioni e i danni materiali. Quindi, servono nuove soluzioni “stand alone” per garantire la longevità delle aziende, ma è altrettanto fondamentale mantenere un attentissimo presidio su quelli che possono risultare essere i rischi non trasferiti al mercato assicurativo”.
Negli ultimi mesi sono aumentati gli attacchi alle Istituzioni del nostro Paese. A destare una certa apprensione sono le incursioni nei sistemi delle strutture sanitarie, raddoppiate in un solo anno. I furti di dati personali dei pazienti, cartelle cliniche comprese, sono considerati molto preziosi e facilmente monetizzabili.
A livello globale, il Data Breach Investigation Report di Verizon sostiene che il 15% dei data breach riguardino le organizzazioni sanitarie. La digitalizzazione ha aumentato in maniera esponenziale il volume e la velocità di generazione dei dati sanitari, facendo incrementare l’esposizione al rischio. A tale proposito desta preoccupazione il fatto che circa l’80% dei dati generati dal settore sanitario saranno in cloud entro il 2020.
“È importante considerare che il rischio cyber non risiede solo nel data breach. L’inarrestabile digitalizzazione del processo diagnostico e terapeutico pone in rilievo il grande problema della sicurezza dei pazienti”, spiega Franzi. “In ultimo, non sono da trascurare quelli che sono gli effetti del progresso sulla qualità della vita: l’Istat stima per il 2065 una vita media di 86,1 anni per gli uomini (80,6 anni, oggi) e 90,2 anni per le donne (85 anni oggi). L’invecchiamento della popolazione è una conquista importante, ma l’allungamento della vita media aumenta il rischio non autosufficienza”.
“Su questo argomento – conclude Franzi – e sulla vertiginosa crescita dei disturbi mentali che secondo l’OMS saranno la patologia più diffusa al mondo nel 2030, il mercato assicurativo deve fare profonde riflessioni”.